Chissà se Salvatore Sciarrino ha mai ascoltato Descent into the Maelström di Lennie Tristano? Forse no, ma non ho potuto fare a meno di chiedermelo dopo avere ascoltato La navigazione notturna, all’Auditorium Pollini giorni fa. A mio sentire, vi sono analogie, e non superficiali, tra il montaggio sonoro di Tristano e questa nuova composizione per quattro pianoforti – e per come è stata acusticamente ‘messa in scena’ per la prima volta il 21 novembre scorso a Padova per la rassegna del Centro d’Arte.
La navigazione notturna si è avviata più di trent’anni fa. Sciarrino la iniziò nel 1985 e l’ha completata soltanto ora, per il concerto padovano. Qui un testo dell’autore che si diffonde sul significato simbolico del titolo. Ma subito, all’ascolto, è evidente che il viaggio in cui ci siamo imbarcati è molto più pericoloso di quanto suggerito da quel testo. Non c’è (ancora) un suono da ascoltare qui ma, anche lo avessimo, quello che uscirebbe da due altoparlanti collegati al pc, nel migliore dei casi, non potrebbe dare l’esatta idea del vortice acustico che si forma intorno all’ascoltatore che ne fa esperienza dal vivo. In partitura è scritto che «i quattro strumenti vanno collocati in quadrato (o rombo – o cerchio) intorno al pubblico. Ideale sarebbe che fossero appena rialzati, su pedane basse, con il coperchio sollevato, rivolto agli spettatori». Il pianoforte non è una sorgente sonora puntuale, ma l’orecchio, aiutato dall’occhio, individuerebbe piuttosto bene la provenienza del suono dai luoghi fisici in cui sarebbero collocati gli strumenti. Invece, per ragioni pratiche, la prima e finora unica esecuzione del pezzo non ha rispettato quella disposizione, e l’ha simulata – grazie ad Alvise Vidolin, d’accordo con il compositore – in un modo che finisce per assecondare ancora meglio il principio del pezzo: al ‘Pollini’ i quattro strumenti sono stati disposti frontalmente a semicerchio, e microfonati in modo da spazializzare la loro presenza su quattro coppie di altoparlanti tutt’intorno al pubblico, secondo una simmetria diversa e complessivamente controintuitiva rispetto a ciò che l’ascoltatore vede: lo spettacolo non deve essere per gli occhi. Anzi, il disallineamento tra le due dimensioni sonora e visiva contribuisce all’effetto di disorientamento percettivo a cui mira la scrittura:
- il pf 1, visibile frontalmente a sx è presente sui due altoparlanti più avanzati a sx;
- il pf 2, visibile frontalmente a dx è presente sui due altoparlanti più avanzati a dx;
- il pf 3, visibile sullo sfondo a sx è presente sui due altoparlanti più arretrati a dx;
- il pf 4, visibile sullo sfondo a dx è presente sui due altoparlanti più arretrati a sx.
È piuttosto facile immaginare come suona, nello spazio, la figura iniziale che i quattro pianoforti si ‘passano’ tra loro:
poi naturalmente questo processo si complica, e si stratifica, in modo da produrre quell’effetto di vortice in cui l’unica evidenza è l’impressione di circolarità, anche se le informazioni sui percorsi del suono tutt’intorno nello spazio interferiscono tra loro in modo complesso e apparentemente caotico.
Ed ecco qui il Maelström di Tristano, in una registrazione che dovrebbe risalire al 1953 ma pubblicata, postuma, solo venticinque anni più tardi. Non è dato sapere perché Tristano avesse deciso di tenere nel cassetto questo esperimento di composizione su nastro, molto differente e ancora più radicale di altri esercizi di sovraincisione pubblicati negli anni Cinquanta.
Nella registrazione, monofonica, che dura tre minuti e mezzo (forse in origine pensata per una facciata di 78 o 45 giri?), si ascoltano soltanto suoni di pianoforte in una densa, continua, informale sovrapposizione di arpeggi dissonanti e note o cluster ribattuti fino alle estremità dell’estensione della tastiera, il tutto privo di un’apparente disegno formale, di una struttura armonica, di una pulsazione ritmica uniforme. Non è musica incoerente con le premesse poste dalle improvvisazioni libere, prive di presupposti armonici, motivici e ritmici di due famosi brani d’insieme registrati nel 1949, Intuition e Digression; è però ancora più radicale nella sua sospensione di qualunque caratteristica riferibile al jazz, senz’altro di come lo si intendeva all’epoca. E se il materiale musicale è dichiaratamente improvvisato, il suo assemblaggio su nastro parla invece in favore di una composizione pianificata.
Le scarne note di copertina confermano appena quanto è implicito nel titolo: «Improvised conception from Edgar Allan Poe’s story», che è il racconto di un naufragio, un naufragio estremo, nel gorgo che le maree formano al largo delle isole Lofoten nel mare di Norvegia, raccontato dall’unico sopravvissuto, che è rimasto segnato per sempre da un’esperienza ‘ai confini della realtà.’
Tristano è accreditato come tecnico del suono ma, ancora una volta, non esistono notizie circa le operazioni compiute con il nastro. La qualità dell’unica versione nota, quella pubblicata su LP nel 1978 e poi più volte, anche in CD, non è ottimale.1 Non è facile stabilire quanti e quali siano stati gli interventi, a partire dal numero delle registrazioni sovrapposte: si possono tuttavia ascoltare cinque ingressi di altrettante sequenze, ai secc. 4”, 5”, 10”, 13” e 14” dall’inizio (da 0” a 4” c’è soltanto rumore di fondo). Le prime due sequenze, in ordine di apparizione, coprono i registri estremi dello strumento, e le successive tre piuttosto quello centrale. Tutti e cinque i processi musicali stratificati sembrano continuare per l’intera durata del brano. Musicalmente, gli elementi caratteristici del pezzo, come gli arpeggi iterativi e i cluster ascendenti, rinviano per analogia a una rappresentazione della figura del vortice, ma la stratificazione degli eventi sembra un riferimento ancora più preciso al racconto di Poe, laddove si sofferma in particolare sulla descrizione stupefatta di come i diversi oggetti inghiottiti dal gorgo paressero ruotare dentro di esso a differenti velocità e profondità.
Qualche sera fa, sempre a Padova, a margine di una lezione sulle Figure della musica – svolta a partire dal suo fondamentale volume del 1998 – Sciarrino, sollecitato sulla metafora acquea delle figure presenti nel pezzo, sosteneva che queste devono intendersi piuttosto come cellule, in sviluppo, che non come immagini (di onde). Probabile, dal momento che già il titolo parla di un viaggio per acque, che gli sembri opportuno parlare di quelle figure in un modo più astratto e meno riduttivamente rappresentativo. Eppure così appaiono: onde, che si stratificano, si accumulano, si sfasano, e soprattutto lo fanno spazialmente, a comporre e rappresentare il vortice.
Più che un indizio dell’inclinazione di Sciarrino per questo tipo di materia musicale arrivava, durante la lezione, da un esempio tra i più celebri della storia della musica moderna, il preludio dell’Oro del Reno di Wagner: onde, su onde, nient’altro che onde. A Sciarrino interessa soprattutto presentarlo come esempio perfetto di processo accumulativo, una forma che, pur sviluppandosi, non sembra portare da nessuna parte, e che si interrompe senza risolversi, semplicemente aprendo una finestra su altro, sul canto: qui, come dice Sciarrino, si passa bruscamente dall’ambiente sinfonico a quello del teatro. Ma non si può dimenticare che di onde si tratta: e quelle del Reno sono in implacabile accumulazione e crescendo di potenza, acustica e simbolica.
Come il movimento dell’acqua di Wagner, anche quello del Maelström di Tristano si svolge di fronte all’ascoltatore-spettatore. Suggestioni che, per quanto potenti, sono però un passo indietro, quanto a illusione percettiva, rispetto al suono de La navigazione notturna. Che non offre un’immagine frontale, da osservare a distanza di sicurezza, ma una concretezza fisica, presenza e movimento in tutto lo spazio, che è in grado di avvolgere e inghiottire chi ascolta.
Guardandomi intorno sulla vasta superficie di ebano liquido sulla quale eravamo stati trascinati, mi accorsi che la nostra imbarcazione non era l’unico oggetto caduto nell’abbraccio del gorgo. Sia sopra che sotto di noi erano visibili frammenti di navi, ammassi di legname da costruzione, tronchi di albero, unitamente a molti altri oggetti più piccoli, mobili, casse infrante, barili, botti. Ho già accennato alla innaturale curiosità che aveva sostituito la mia originaria paura. Sembrava aumentare man mano che mi avvicinavo alla mia spaventosa fine; cominciai a osservare, con un curioso interesse, le tante cose che fluttuavano in nostra compagnia. Dovevo essere preda del delirio, perché trovavo persino un certo divertimento nel confrontare le relative velocità di discesa dei vari oggetti verso la spuma sottostante. “Questo abete”, mi sorpresi a dire, “sarà certamente la prima cosa che farà il pauroso tuffo e sparirà” – e provai un certo disappunto a vedere che un rottame di un mercantile olandese lo sorpassava e andava a fondo prima. Alla fine, dopo molte congetture di questo tipo, tutte deludenti peraltro, questo fatto, la constatazione dei miei continui errori di calcolo, mi indusse a fare una riflessione che mi fece di nuovo tremare le gambe e battere furiosamente il cuore. Non era un nuovo terrore che mi agitava, ma l’embrione di una più eccitata speranza, che scaturiva in parte dalla memoria e in parte dalle osservazioni che andavo facendo. Ricordavo il gran numero di relitti disseminati lungo la costa di Lofoden dopo essere stati strappati via e poi restituiti dal Moskoe-ström. La grande maggioranza di essi erano frantumati in modo assolutamente straordinario – così segnati e rugosi da sembrare irti di schegge – ma ricordai anche distintamente che taluni non erano al contrario affatto rovinati. Non potevo rendermi conto di questa differenza se non supponendo che i frammenti ruvidi fossero solo quelli che erano stati completamente risucchiati – e che invece gli altri fossero entrati nel gorgo molto tardi rispetto alla marea, oppure, per qualche ragione, fossero discesi così lentamente da non raggiungere il fondo prima che iniziasse l’alta o la bassa marea. In ogni caso, pensai, era possibile che fossero risaliti all’altezza dell’oceano senza subire la sorte di quelli che erano più rapidamente discesi nel gorgo. Feci anche tre importanti osservazioni. La prima era che i corpi più grossi in generale scendevano più rapidamente – la seconda che tra due masse uguali, quella di forma sferica scendeva più veloce di quelle di qualsiasi altra forma e, infine, terza, che la forma cilindrica era inghiottita più lentamente di qualsiasi altra forma.
Da E.A Poe, Una discesa nel Maelström (trad. presente nell’ed. Tutti i racconti, le poesie e «Gordon Pym», Newton Compton 2009).
(Veniero Rizzardi)
1 Il rumore di fondo denuncia che il master della traccia è stato probabilmente ricavato da un disco – forse un acetato – in assenza di una fonte migliore, ossia il nastro su cui certamente Tristano ha realizzato il montaggio finale, ma di cui non si ha notizia.