Peter Brötzmann
sassofoni, clarinetti
William Parker
contrabbasso
Hamid Drake
batteria, percussioni
Si fatica a credere che i decennali “cartelloni” del Centro d’Arte non abbiano mai ospitato Peter Brötzmann. Una lacuna cui cerchiamo di porre rimedio con questo autorevole trio, dove la musica indomita del sassofonista tedesco incontra la più importante coppia ritmica del jazz americano di oggi.
Facciamo subito chiarezza: questo trio non è la somma di tre grandi nomi, che estemporaneamente incrociano le loro strade. È invece un gruppo coeso, che offre una proposta musicale ben precisa, sviluppata dapprima come Die Like a Dog (quartetto di fine anni ’90 che includeva anche il trombettista Toshinori Kondo, in memoria di Albert Ayler, con quattro dischi all’attivo, più uno con Roy Campbell al posto di Kondo), in seguito come trio dal 2001, con riunioni più o meno stabili, In questo contesto la visione radicale di Brötzmann torna a dialogare con la musica afroamericana, producendo un esplosivo cortocircuito sonoro. Fin dalla metà degli anni ’60, la frattura che Brötzmann aveva provocato nella scena improvvisata di allora era anche in garbata polemica con il free americano : l’attenzione di musicisti come Ayler, Coltrane, Sanders per la sfera mistico-spirituale era quanto di più estraneo per l’iper-materialista Brötzmann. La sua era ed è rimasta una musica materica, collerica, più vicina al mondo dell’arte d’avanguardia europea (ambiente da cui Brötzmann proviene, il movimento Fluxus, ad esempio), da sempre scettica nei confronti del trascendente. Eppure, il linguaggio neroamericano ha sempre stimolato la (mal)educazione musicale di Brötzmann, attratto dal jazz delle origini, oppure da solisti come Coleman Hawkins o Sonny Rollins. Dunque l’amicizia e la collaborazione artistica con Parker e Drake, che rappresentano una delle eredità viventi della new thing storica, non può che sfociare in una musica palpitante e dai contrasti spigolosi ma fecondi, come testimoniato anche dal recente, magnifico Song Sentimentale.
Peter Brötzmann è nato a Remscheid nel 1941. Dal 1965 emerge come protagonista della nuova musica europea. Fonda insieme a Peter Kowald e Jost Gebers la FMP Records, per cui incide nel 1968 il manifesto sonoro Machine Gun e poi decine di altri dischi. Suona in contesti diversificati, ma mantiene per molti anni in vita il trio con Fred Van Hove (piano) e Han Bennink (percussioni). Altre collaborazioni importanti con Evan Parker. Misha Mengelberg, Globe Unity Orchestra, Derek Bailey, i quartetti Die Like A Dog e Last Exit. Nell’ultimo ventennio ha diretto il Chicago Tentet, ha inciso con musicisti giapponesi come Haino Keiji, Masahiko Satoh, Takeo Moriyama; ancora, con il quartetto Hairy Bones, i trii Sonore e Full Blast, in duo con Paal Nilssen-Love e Heather Leigh, tra gli altri.
William Parker è nato a New York nel 1952. Dopo alcune esperienze con Jemeel Moondoc e Frank Lowe, si afferma nei gruppi di Cecil Taylor, con cui collabora a lungo. In seguito è a fianco di David S. Ware, e dirige i propri gruppi: Little Huey Creative Music Orchestra, In Order To Survive, WP Quartet, Raining On The Moon, oltre a collaborare con moltissimi musicisti (Butch Morris, Jolle Leandre, Matthew Shipp, tra gli altri). È tra i più prolifici compositori in attività.
Hamid Drake è nato a Monroe nel 1955. Il suo stile percussivo incorpora molteplici influenze culturali; è stato ed è richiesto da decine di autori tra cui Don Cherry, Herbie Hancock, Bill Laswell, Fred Anderson, Peter Brötzmann, Joe McPhee, David Murray, il trio DKV. È stabilmente nel quartetto di William Parker, suona in duo con Pasquale Mirra, dirige il proprio gruppo Bindu.
(Stefano Merighi)
Ascolti
Brötzmann-Parker-Drake
Never Too Late But Always Too Early (Eremite)
Song Sentimentale (Otoruku)
Die Like A Dog
The Complete FMP Recordings (Jazzwerkstatt)
Peter Brötzmann
Machine Gun (FMP)
William Parker
Wood Flute Songs (Aum Fidelity)
Hamid Drake
Bindu (Rogue Art)
Visioni
Soldier of the Road, a Portrait of Peter Brötzmann
(Bernard Josse – DVD)
Web
Rassegna
Centrodarte18
Note
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Foto
© Michele Giotto