Chris Abrahams
piano
Lloyd Swanton
contrabbasso
Tony Buck
batteria
Giunge per la prima volta a Padova una formazione che si è guadagnata ormai il titolo di ‘leggendaria’, il trio australiano The Necks, che quest’anno festeggia i trent’anni di attività. In un recente, lungo articolo comparso sul New York Times, lo scrittore Geoff Dyer li ha definiti “il più grande trio della terra”. Il seguito e il culto di cui sono da tempo circondati sono giustificati dal risultato di un paziente e costante lavoro di ricerca che i tre musicisti hanno svolto a partire da una formula convenzionale, quella jazzistica del piano trio, che è stata, con tanto metodo quanto intuito, smontata e riassemblata fino a divenire tutt’altro da quello che era all’inizio. Pianoforte, contrabbasso, batteria sono tuttora gli strumenti di The Necks, ma la musica non ha più nulla a che vedere con il jazz da cui avevano preso spunto nel 1987.
Un tipico concerto di The Necks si sviluppa come un flusso musicale coerente, che parte da un elemento più o meno semplice, quasi sempre frutto di un’intuizione estemporanea, e che in seguito si sviluppa con lentezza e costanza. La loro è una via alla libera improvvisazione del tutto differente se non opposta a quanto si è sviluppato nel post-free jazz, ma il linguaggio e le armonie, le sonorità generalmente quiete, hanno solo una somiglianza superficiale con quello che di solito si definisce minimale. La musica di The Necks può essere molto densa, ma si svolge sempre in modo ordinato e non conosce brusche svolte: la sorpresa non è momentanea, ma continua, e l’improvvisazione è piuttosto simile a una ‘composizione istantanea’, un processo creativo che si svolge come gioco comunicativo sottile e controllatissimo tra i tre musicisti, in un regime di massima concentrazione che fin da subito cattura magneticamente anche chi ascolta e lo rende partecipe dell’azione.
Già la disposizione sul palco è indicativa del loro modo di procedere: il pianoforte sulla destra, Chris Abrahams dà le spalle a Swanton e Buck: nessuna comunicazione visiva, soltanto ascolto ‘profondo’, come avrebbe detto Pauline Oliveros. In questo modo di procedere il senso del tempo si trasforma per chi suona tanto quanto per chi ascolta. E The Necks hanno raggiunto una tale padronanza del ‘loro’ tempo che, per quanto imprevedibili siano i materiali di partenza e i loro sviluppi, un loro tipico concerto si svolge quasi sempre in un arco di tempo di poco meno di un’ora minuti. Per la loro esibizione alla Sala dei Giganti, The Necks presenteranno due set di circa cinquanta minuti ciascuno, separati da un breve intervallo.
(Veniero Rizzardi)
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In collaborazione con Locus Solus
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