© Aki Onda

Steven Bernstein
tromba, flicorno

Clemens Salesny
sax baritono, clarinetto basso

D.J. Bonebrake
vibrafono

David Piltch
contrabbasso

Danny Frankel
batteria, percussioni

Steven Bernstein (tromba, flicorno) ha inaugurato la serie discografica ispirata alla diaspora nel 1999. Allora era una “Diaspora Soul” il tentativo di associare il patrimonio tematico ebraico alla musica dell’anima neroamericana. Poi fu la volta di una “Diaspora Blues”, che aveva trovato rifugio nel jazz visionario, coinvolgendo un maestro come Sam Rivers.
“Diaspora Hollywood” ricrea invece atmosfere tipicamente “cool” e cinematografiche. “Mi sono ispirato alla prima ondata di compositori hollywoodiani, molti dei quali erano ebrei immigrati da New York, mentre alcuni erano arrivati direttamente dall’Europa: Max Steiner, Franz Waxman, Alfred Newman, David Raskin. Mi hanno fatto pensare al concetto di diaspora: alla gente che partiva dall’est europeo per arrivare a Hollywood, e allo spazio tra questi due mondi. Ho anche ascoltato molti arrangiatori di Los Angeles degli anni ’50 e il loro uso del contrappunto, la loro abilità nell’utilizzare le percussioni melodicamente. Gente come Shelly Manne e Shorty Rogers”. Così Bernstein, che conferma con questo lavoro una rara versatilità sia come appassionato di musica che come artista. La tavolozza timbrica sfruttata in questa occasione è quanto mai evocativa: tromba, sax baritono e clarinetti, flauti, vibrafono, basso, batteria e percussioni.
Partendo da melodie tradizionali che fanno parte della sua cultura di base, Bernstein realizza un mix dai sapori agrodolci, in cui stavolta la sfumatura prevale sulle tinte forti, l’intreccio collettivo sulle improvvisazioni individuali. Il tessuto sonoro rimanda al descrittivismo del melodramma o del noir, i temi sono spesso malinconici, introspettivi, rivitalizzati però dall’esuberanza danzante dei ritmi mediorientali e dal lirismo dello stile strumentale di Bernstein.
Steven Bernstein si è fatto conoscere nel downtown New York dapprima come direttore musicale dei Lounge Lizards di John Lurie, poi come co-leader del trio Spanish Fly. Attivissimo nei club di punta della metropoli americana, fonda i Sex Mob, che diventano in poco tempo una tra le maggiori attrazioni del post-jazz anni 90 e Duemila. I Sex Mob si sono esibiti a Padova per il Centro d’Arte nel 2003. Con questo gruppo (che allinea Briggan Krauss, Tony Scherr e Kenny Wollesen), Bernstein ha dato sfogo al lato più giocoso e divertito della sua personalità musicale, traducendo in nuovi linguaggi musiche di ogni tipo, dalle colonne sonore dei film di James Bond ai brani di famose rockstar.
Ma Bernstein ha anche diretto la Kansas City Band (dal film di Robert Altman, che ha suggerito un tour di successo), ha composto le musiche di “Get Shorty” (una nomination all’Oscar), ha suonato e registrato con musicisti di diversa estrazione come Tricky, Aretha Franklin, Mel Torme, Bootsy Collins, Don Byron, Franco D’Andrea, James Chance, Carla Bley


 

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Ascolti

Steven Bernstein
Diaspora Hollywood (Tzadik)
Diaspora Blues (Tzadik)
Diaspora Soul (Tzadik)

Sex Mob
Dime Grind Palace (Ropeadope)
Does Bond (Ropeadope)

Web

Rassegna

I concerti del Centro d’Arte

Note

Nella formazione inizialmente annunciata c’era Pablo Calogero ai fiati, poi sostituito da Clemens Salesny poco prima dell’inizio del tour.