Frederic Rzewski
pianoforte
a colloquio con
Veniero Rizzardi
Frederic Rzewski
Ballad n. 3 da North American Ballads (Down By the Riverside) (1979)
Mayn Yingele (1988)*
Ballad n. 5 (It Makes A Long Time Man Feel Bad) (1980-2004)*
* Prime esecuzioni in Italia
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Frederic Rzewski è nato nel 1938 a Westfield, Massachusetts. Dopo avere studiato privatamente il pianoforte con Charles Mackey a Springfield ha studiato composizione con Walter Piston and Roger Sessions, contrappunto con Randall Thompson e orchestrazione con Claudio Spies alla Harvard University negli anni 1954-58. Ha in seguito studiato compozizione con Milton Babbitt e la musica di Richard Wagner con Oliver Strunk alla Princeton University nel 1958-60, dove ha anche studiato la letteratura e la filosofia della Grecia classica.
Trasferitosi a Roma nel 1960 ha studiato privatamente con Luigi Dallapiccola, ha iniziato una fortunata collaborazione come pianista del flautista Severino Gazzelloni, è divenuto uno dei pianisti più richiesti nell’ambito della nuova musica (con prime esecuzioni di Stockhausen e Evangelisti), ha collaborato con Nuova Consonanza, e ha poi fondato insieme ad Alvin Curran e Richard Teitelbaum il gruppo di improvvisazione Musica Elettronica Viva (completato poi da Garrett List e Steve Lacy) che è stato particolarmente attivo negli anni 1966-71 . In seguito è stato molto attivo come pianista, soprattutto esecutore di proprie composizioni.
Ha insegnato al Conservatoire Royal de Musique a Liegi dal 1977 al 2003, dove è stato Professore di composizione a partire dal 1998. Ha inoltre insegnato alla Yale University, University of Cincinnati, State University of New York at Buffalo, California Institute of the Arts, University of California at San Diego. Ha inoltre insegnato al Mills College di Oakland, al Conservatorio Reale dell’Aia, alla Hochschule der Künste di Berlino, alla Hochschule für Musik di Karlsruhe.
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Le quattro North American Ballads sono state scritte nel 1979 per Paul Jacobs, che le registrò su disco Nonesuch. Penso a queste ballate come rappresentazioni delle cose in cui credo. Sono scritte tutte nello stesso periodo (1979-80) e sono tutte basate su canzoni americane di lavoro o di protesta. Quando vivevo a New York nei primi anni Settanta, ebbi modo di conoscere Pete Seeger, uno dei miei eroi. Gli parlai di un gruppo di musicisti, il MAC (Musicians’Action Collective) che avevamo formato per offrire concerti socialmente rilevanti. Alcuni di noi erano anche interessati all’idea di un collettivo di cantautori. Chiesi un consiglio a Seeger.
Lui sapeva già tutto, perché suo padre aveva organizzato un gruppo simile negli anni Trenta. La cosa importante era avere incontri regolari, una volta al mese, per esempio, e cantare le canzoni che erano state scritte in quel mese. Poi, disse, dovreste seguire l’esempio di Bach. Si riferiva all’uso da parte di Bach di melodie che chiunque può cantare, i corali. Seeger riteneva essenziale che un concerto dovesse comprendere la partecipazione del pubblico.
Verso la fine degli anni Settanta vivevo in Europa, ma con il pensiero rivolto agli Stati Uniti pensai di seguire l’esempio di Bach.
Questi pezzi per pianoforte fanno uso di canzoni tradizionali in modo simile all’uso dei corali luterani nel preludi corali per organo di Bach. Quasi tutto deriva dalla melodia di base. In ogni pezzo ho costruito tessuti contrappuntistici in modo analogo, usando tecniche classiche come aumentazione, diminuzione, trasposizione, compressione, sempre mantenendo il profilo della melodia a qualche livello. La melodia può essere frammentata, stirata, compressa, trasposta in altre tonalità, e sovrapposta a se stessa ma, a ben vedere, è sempre presente.
Queste e simili canzoni sembrano esercitare un fascino speciale sull’orecchio umano. Puoi cambiarle e deformarle, sottoporle a ogni genere di trasformazione senza per questo distruggerle, diversamente da quanto succede con una serie dodecafonica. Possono servire come ‘cemento’ tonale in una composizione, permettendo un’improvvisazione ad ampio raggio senza che per questo si perda il senso di ‘casa’.
Mi sembra che ci siano degli archetipi universali nella musica popolare delle più diverse tradizioni. I grandi inni luterani esprimono queste tradizioni archetipiche, così come i grandi inni religiosi e le ballate del Sudamerica. Queste melodie spesso sembrano descrivere qualche forma ‘umana’, spesso relativa alla voce della madre o al movimento cullante delle sue braccia; e questi caratteri forse sono riconosciuti da aree cerebrali specializzate, proprio come quelle destinate al riconoscimento dei volti umani.
Down By the Riverside, un grande spiritual, è stato, insieme a We Shall Overcome, un simbolo dei movimenti per la pace all’epoca della guerra del Vietnam:
Goin’ to lay down my sword and shield,
Down by the riverside, down by the riverside,
Goin’ to lay down my sword and shield,
Down by the riverside, and study war no more.
Mayn Yingele (Bambino mio), scritto per Ursula Oppens, è un ciclo di 24 variazioni su una canzone tradizionale, su testo di Morris Rosenfeld, il poeta dei lavoratori newyorkesi supersfruttati, attivo nei primi del secolo scorso. Il testo yiddisch è il lamento di un padre che esce di casa di prima mattina per lavorare e ritorna a tarda sera, senza mai poter vedere suo figlio, se non quando dorme.
Ho iniziato a scrivere questo pezzo nel novembre del 1988, nel 50. Anniversario della Kristallnacht, la famigerata “Notte dei cristalli” del 1938, che segnò l’inizio ufficiale della persecuzione nazista ai danni degli ebrei. Il mio lavoro è una riflessione su quella parte perduta della tradizione ebraica che colora così fortemente, della sua assenza, la cultura del nostro tempo.
La Ballad n. 5 (It Makes A Long Time Man Feel Bad) è un adattamento per pianoforte solo del 1997 (rivisto nel 2004) di A Long Time Man, per orchestra con pianoforte, che scrissi nel 1979 su commissione della New Hampshire Symphony, e che fu eseguito per la prima volta nella primavera dell’anno seguente, con l’orchestra diretta da James Bolle, e il compositore come solista. Anche questa è una serie di 24 variazioni, composte su una canzone di lavoro delle prigioni del Texas, con una cadenza improvvisata fra le variazioni 15 e 16. Il tema è la canzone del ‘long time man’ (l’ergastolano):
It makes a long time man feel bad
It makes a long time man feel bad
He don’t get no letters
He can’t hear from home
It makes a long time man feel bad
Le prime nove variazioni, scritte in uno stile poli- o trans- tonale simile a quello delle North American Ballads, sviluppa il tema in un collage di frammenti e schegge della melodia che appaiono e scompaiono velocemente in differenti tonalità e tempi. Nella variazione n. 10 entra un nuovo tema, lento, che si sviluppa fino alla variazione n. 15, seguita da un’improvvisazione. Alla fine della cadenza la variazione n. 16 riprende il materiale tematico in modo simile all’inizio: un inizio che ora sembra essere accaduto molto tempo prima. La variazione n. 17 evoca il tempo lento delle variazioni 10- 15. La variazione 18 è una cadenza scritta. Nelle variazioni 19-24 il tempo rallenta ancora e alla fine si arresta. Il tema è suonato delicatamente in molte differenti tonalità e in fine svanisce. Si ascoltano le prime due note della melodia, e la musica è finita.
(Frederic Rzewski)
Rassegna
Impara l’Arte
IV Edizione 2004-2005
Note
IMPARA L’ARTE è un’iniziativa nata dalla collaborazione progettuale di Centro d’Arte degli Studenti dell’Università di Padova, Orchestra di Padova e del Veneto e Amici della Musica ed è promossa e sostenuta da ESU e Università, cui si affiancano l’Assessorato alla Cultura del Comune, la Camera di Commercio e l’Unindustria di Padova.